Allergie alimentari
Le allergie alimentari sono un problema serio dato che la loro incidenza nella popolazione mondiale è aumentata notevolmente in questi ultimi anni; secondo i dati raccolti nel 2003 dal National Institute of Allergy and Infectious diseases (NID) le allergie alimentari colpiscono circa il 2% della popolazione adulta ed il 6-8% dei bambini di età inferiore ai 10 anni. Sempre in base a questo studio negli USA sono circa 30.000 gli episodi annuali di shock anafilattico causati da allergie alimentari e di questi 150 hanno una prognosi infausta. Le allergie sono reazioni di ipersensibilità immuno–mediata che sono però dose dipendente. Il 90% di tutti i casi di allergie alimentari sono scatenate da alimenti piuttosto comuni come: soia (20%), grano (29%), latte (10%), uova (8%), arachidi (30%) e pesce (3%). In questi alimenti sono presenti specifiche proteine o glicoproteine in grado di scatenare la reazione allergica. Non si è quindi allergici ad un cibo in sé ma soltanto ad una o più sostanze in esso contenute. Tra queste solo alcune perdono tale caratteristica con la cottura o con la trasformazione degli alimenti. Quando una persona ingerisce una sostanza a cui è allergica il sistema immunitario risponde con un abnorme produzione di IgE dirette verso la proteina o allergene responsabile che poi a loro volta vanno ad attivare una serie di cellule della risposta immunitaria, soprattutto mastociti e eosinofili che rilasciano in circolo mediatori come citochine che sono responsabili delle manifestazioni cliniche. Raramente ci sono anche risposte cellulo-mediata di tipo IV, che sono meno facili da diagnosticare, dato che non c’è l’anticorpo ma un infiltrato polimorfo. Alcuni bambini hanno una reazione di tipo IV verso la cioccolata e sviluppano ponfi, papule grosse su tutto il corpo senza però manifestazioni sistemiche come riniti o rossore cutaneo. La possibilità di sviluppare allergie è correlata al tempo di esposizione ad un tipo di allergene. Si è visto, infatti, che l’allergia al pesce è molto comune in Scandinavia mentre quella agli arachidi negli USA. Le reazioni allergiche si distinguono in reazioni generalizzate e in reazioni d’organo, e i quadri clinici sono variabili. Ci sono i sintomi più immediati, cioè da contatto nel tratto oro-faringeo con l’alimento, come edema della lingua, glossite, afte e nel tratto digestivo come nausea, vomito, spasmi esofagei. I sintomi più gravi sono quelli sistemici, quindi a livello della cute con edema delle labbra, bocca, lingua e del tessuto periorbitale, orticaria, eruzioni, rossore, prurito ect. A livello dell’apparato respiratorio si ha congestione nasale, starnuti, asma, tosse, respiro affannoso o sibilante o poi a livello cardiovascolare fino a shock anafilattico con edema della glottide e calo pressorio. . L’anafilassi è la conseguenza più grave e pericolosa di un allergia alimentare e, in assenza di una iniezione immediata di adrenalina, può portare ad esiti gravi come la morte.
Per fare diagnosi è importante un’accurata anamnesi: chiedere quanto tempo passa tra l’ingestione dell’alimento e la comparsa del sintomo, che tipo di sintomo ha, quanto dura e se compare ogni volta che mangia quell’alimento. Dopo è necessario l’esame obiettivo, identificare o in vitro o con un prelievo la presenza di anticorpi specifici (IgE), oppure tramite test di provocazione cutanei, detti prick o provocazione orale in aperto o in cieco. Il RAST o prick test dimostra la presenza di mastociti sensibilizzati: su una piccola zona di cute si riversa una soluzione diluita contenente un dato alimento e poi viene punta con un ago. Se si sviluppa arrossamento locale, ci fornisce una prova indiretta del rilascio di istamina e che quindi l’alimento penetrato nella cute abbia sensibilizzato le mast-cellule locali. Tra tutti i test quello più attendibile è quello in doppio cieco, dove somministri o un placebo o l’alimento sospetto liofilizzato o informa secca o in capsula senza sapere cosa viene somministrato.
I metodi di accertamento sono dunque:
1. Test cutanei: Sulla base dell’anamnesi dietetica, gli alimenti sospettati di provocare reazioni allergiche sono inseriti nella serie utilizzata per i test cutanei. Il valore di questo tipo di test è molto controverso e i risultati non sono affidabili al cento per cento. I test consistono nell’inserimento sottocutaneo di estratti di un determinato alimento, mediante iniezione o sfregamento, per verificare l’eventuale comparsa di una reazione di prurito o di gonfiore.
2. Diete ad esclusione: Il principio della dieta ad esclusione si basa sull’eliminazione di un alimento o di una combinazione di alimenti sospetti per un periodo di circa 2 settimane prima di effettuare una prova di verifica. Se in questo periodo i sintomi scompaiono, i cibi sospetti vengono reintrodotti nella dieta, uno per volta, in quantità ridotte e aumentate gradualmente fino a raggiungere la dose normale. Una volta verificati tutti i cibi sospetti, è possibile evitare quelli che causano problemi.
3. Test RAST (radioallergoassorbimento): In questo tipo di test si mescolano in una provetta piccoli campioni di sangue del paziente con estratti di alimenti. In una vera allergia, il sangue produce anticorpi per combattere la proteina estranea che può così essere rilevata. Il test può essere usato soltanto come indicatore di un’allergia ma non determina l’entità della sensibilità all’alimento nocivo.
4. Test in doppio cieco con controllo di placebo (DBPCF): In questo test allergologico, l’allergene sospetto (per es. latte, pesce, soia) viene inserito in una capsula o nascosto in un alimento somministrato al paziente sotto stretto controllo medico. Questi test permettono agli allergologi di individuare i più comuni alimenti e componenti alimentari che provocano effetti negativi.
Esistono anche altri test per la diagnosi delle allergie che però non sono stati scientificamente avvallati e potrebbero non avere alcun valore.
Es: L’ALLERGIA ALLE PROTEINE DEL LATTE VACCINO si riscontra più comunemente nei neonati e nei bambini, soprattutto in quelli che hanno una storia familiare di predisposizione alle allergie. Si manifesta in un numero di neonati compreso tra lo 0,5 e il 4% ma l’incidenza diminuisce con l’età. I sintomi più comuni sono vomito e diarrea anche se la gamma di risposte negative varia da una persona all’altra. Fortunatamente, le reazioni alle proteine del latte vaccino sono generalmente di breve durata e l’incidenza nei bambini più grandi e negli adulti è nettamente inferiore. L’allergenicità del latte vaccino può essere ridotta mediante alcuni processi caseari. Per esempio il trattamento a temperatura elevata che modifica la struttura di alcune delle proteine del latte. Per questo motivo, alcuni soggetti sensibili a questo alimento possono tollerare i prodotti a base di latte sterilizzato o evaporato ma non il latte pastorizzato. Vi sono anche altre lavorazioni casearie, quali la trasformazione enzimatica delle proteine in peptidi, che possono ridurre il potenziale allergenico delle proteine del siero di latte. Nei prodotti fermentati, come lo yogurt, e nei formaggi, le proteine del latte mantengono per lo più invariata la loro struttura e quindi la loro allergenicità. Avuta conferma della diagnosi di allergia alla proteina del latte, è importante seguire una dieta bilanciata e sana, soprattutto durante la crescita e lo sviluppo del bambino. I consigli alimentari di un nutrizionista sono fondamentali per garantire un’assunzione ottimale di nutrienti essenziali, quali calcio, magnesio, vitamine A, D, B2 e B12.
CURA :Per quanto concerne la cura delle allergie alimentari il modo più sicuro per non subire la reazione allergica è quello di evitare il contatto con gli alimenti allergizzanti. Nonostante i rimedi farmacologici sempre più promettenti ed efficaci (negli Stati Uniti hanno dato buoni risultati anche le ricerche su farmaci contro un allergia insidiosa come quella all’arachide) per il momento la dieta di esclusione rimane ancora il punto cardine della terapia. Tramite tale approccio terapeutico, seguito da una graduale reintroduzione sotto controllo medico degli alimenti esclusi, il 60-70% dei bambini guarisce spontaneamente intorno ai 6-7 anni mentre nel 30-40% dei casi la malattia persiste anche nella fase adolescenziale. Le allergie a latte, uovo e grano guariscono in tempi più brevi rispetto all’arachide e alla nocciola che a volte persistono per tutta la vita. DIETA E ALLERGIE ALIMENTARI Quando l’allergia alimentare coinvolge due o tre alimenti (es. latte e uovo, latte uovo grano), la ricerca di prodotti sostitutivi si complica enormemente rendendo estremamente difficile il mantenimento di una dieta rigorosa. Una dieta priva di sostanze allergizzanti molto forti durante la gravidanza non modifica il rischio che il bambino sviluppi nella sua vita allergie alimentari. Durante l’allattamento, soprattutto se c’è famigliarità per le allergie alimentari, la mamma dovrebbe invece evitare di consumare gli alimenti potenzialmente più allergizzanti (arachidi, nocciole, pesci, crostacei, latte, uova).
LE INTOLLERANZE ALIMENTARI SONO spesso confuse con le allergie. Le intolleranze hanno una prevalenza molto minore, sono più benigne e più gestibili. Nella popolazione italiana colpiscono circa il 25-30% delle persone. Numerose intolleranze presentano sintomi simili alle reazioni allergiche sebbene non abbiano nessuna base immunologica. Questi sintomi sono orticaria, dolori addominali, diarrea e sono dovuti ad una varietà di meccanismi, in genere , riconducibili ad anomalie metaboliche del soggetto stesso. Per esempio il deficit enzimatico di lattasi è un’intolleranza al lattosio. Quindi, sono sempre reazioni avverse al cibo, che avvengono in soggetti suscettibili (ipersensibilità non allergica e dose –dipendente. Vi è ad esempio una sintomatologia dovuta all’assunzione di amine biogene, con rilascio di istamina e tiramina, vasodilatazione, aumento della permeabilità capillare, bronco costrizione e costrizione della muscolatura intestinale liscia e cefalea. Altro componete verso cui si può sviluppare intolleranza è il nitrato di sodio che viene utilizzato per la conservazione di molti alimenti, che può provocare nei soggetti suscettibili, dilatazione dei vasi sanguigni, arrossamento, orticaria e disturbi intestinali. Poi abbiamo la tipica sindrome da ristorante cinese con cefalea, stato d’ansia, formicolio, senso di costrizione toracica con nausea e sudorazione, per intolleranza al glutammato di Na+.
I due più comuni responsabili dell’intolleranza alimentare sono il lattosio e il glutine.
Il LATTOSIO è lo zucchero contenuto nel latte. Normalmente, l’enzima chiamato lattasi, presente nell’intestino tenue, scompone il lattosio in zuccheri più semplici (glucosio e galattosio) che entrano poi in circolo nel sangue. Quando l’attività enzimatica è ridotta, il lattosio non viene scomposto e viene trasportato nell’intestino crasso dove viene fermentato dai batteri presenti in quella parte del corpo. Questo può determinare sintomi come flatulenza, dolore intestinale e diarrea. Anche se la maggior parte dei popoli di ceppo nordeuropeo produce una quantità sufficiente di lattasi per tutta la vita, tra le razze non bianche e le popolazioni del Medio Oriente, dell’India e di alcune parti dell’Africa, compresi i loro discendenti, la carenza di lattasi è un fenomeno molto diffuso. In realtà, circa il 70% della popolazione mondiale adulta non produce lattasi a sufficienza e presenta quindi un certo grado di intolleranza al lattosio. In Europa, la carenza di lattasi si manifesta nel 5% circa della popolazione bianca, con marcate variazioni a seconda del Paese, e in proporzione decisamente superiore (50-80%) nelle minoranze etniche. La quantità di latte e latticini tale da determinare sintomi di intolleranza è molto variabile. Molti soggetti che hanno una ridotta attività intestinale della lattasi possono bere un bicchiere di latte senza alcun problema. Analogamente, i formaggi stagionati, che hanno un basso contenuto di lattosio, e i prodotti a base di latte fermentato, come lo yogurt, sono in genere ben tollerati. Questo potrebbe spiegare l’ampio consumo di prodotti a base di colture di latte e di yogurt nelle regioni del mondo in cui la carenza di lattasi è più diffusa. Inoltre, l’introduzione costante di cibi contenenti lattosio nell’ambito dei pasti induce un progressivo adattamento e la riduzione della quantità totale di lattosio ingerita in un solo pasto può migliorare la tolleranza negli individui sensibili.
L’INTOLLERANZA AL GLUTINE è una disfunzione intestinale che si manifesta quando il corpo non tollera il glutine (proteina presente nel grano, nella segale, nell’orzo e nell’avena, anche se quest’ultima è oggetto di controversie e di ricerche per stabilirne l’effettivo ruolo). La diffusione della malattia, comunemente chiamata celiachia o intolleranza al glutine, è sottostimata. Gli esami serologici rilevano questa malattia, che altrimenti non verrebbe diagnosticata, in 1 individuo su 100 della popolazione Europea (con differenze regionali). La celiachia è una disfunzione permanente e può essere diagnosticata a qualsiasi età. Se la persona che ne è affetta consuma un alimento contenente glutine, le pareti di rivestimento dell’intestino tenue si danneggiano e subiscono una riduzione della capacità di assorbire nutrienti essenziali quali grassi, proteine, carboidrati, minerali e vitamine. I sintomi includono diarrea, debolezza dovuta a perdita di peso, irritabilità e crampi addominali. Nei bambini, possono manifestarsi sintomi di malnutrizione come, ad esempio, una crescita insufficiente. Attualmente, l’unico aiuto per i pazienti celiaci è una dieta priva di glutine. I centri di dietologia e le organizzazioni di informazione sulla celiachia mettono a disposizione gli elenchi degli alimenti privi di glutine. Escludendo tale sostanza dalla dieta, l’intestino si ripara gradualmente e i sintomi scompaiono. Sono in corso ricerche per individuare l’esatta natura e sequenza degli aminoacidi del glutine che determinano la celiachia e queste conoscenze potrebbero costituire, in futuro, la base per l’applicazione della biotecnologia allo sviluppo di cereali che non causano intolleranza.
Per una corretta diagnosi, anche per le intolleranze, può essere effettuata mediante test scientifici; il primo passo è un’anamnesi dettagliata del paziente e della sua famiglia. Si deve dedicare particolare attenzione alla tipologia e alla frequenza dei sintomi, nonché al momento preciso in cui si verificano in relazione al consumo di determinati alimenti.
per prevenire le allergie e le intolleranze alimentari Dopo aver effettuato un esame completo per identificare con precisione gli alimenti o i componenti alimentari nocivi, l’unico modo per prevenire la reazione allergica nei soggetti sensibili è eliminare tali alimenti o componenti dalla dieta o dall’ambiente. In caso di intolleranza alimentare, il solo fatto di ridurre le porzioni può essere sufficiente ad evitare i sintomi. Il miglior sistema di difesa consiste nel leggere attentamente le informazioni relative agli ingredienti riportate sulle etichette dei prodotti e nel sapere quali sono gli alimenti che scatenano allergie, intolleranze o asma.